Occhio per occhio - capitolo 4



La porta non poteva certo buttarla giù, né poteva provare ad aprirla forzando la serratura, inoltre Michael si sarebbe accorto della sua presenza. Di certo non era a casa a quell’ora, ma al suo ritorno avrebbe visto la porta forzata. Jason avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di entrare in casa per tendere una trappola a Michael, così uscì in strada, andò nel vicolo a fianco alla casa e salì sulle scale anti-incendio. Arrivato al piano nel quale abitava Michael strisciò lungo il cornicione molto lentamente. Soffriva di vertigini, inoltre aveva ancora un ma di testa tremendo. Sentiva che doveva vomitare, stava male. Guardò giù. Cominciò a girargli la testa, la vista gli si appannò sempre di più, fino ad oscurarsi. Per qualche istante non vide niente e andò in trance, si sentì come cadere.

La vista gli tornò di colpo, era ancora lì, sul cornicione: le immagini rimasero confuse per un po’, ma ciò che più lo colpiva è che i colori del paesaggio erano diversi dal normale, diversi da com'erano un’istante prima e le cose avevano una consistenza strana. Non ci diede molto peso. Continuò a strisciare lungo il cornicione. Aveva come l’impressione che si fosse allargato e che potesse muoversi più liberamente e comodamente. Arrivò davanti ad una finestra, quella del salotto. L’aprì senza troppe difficoltà. Entrò nella stanza, poggiando i piedi sulla scrivania davanti alla finestra scivolò su dei fogli, ma cadendo non si fece niente. Scivolando aveva fatto cadere un foglio, ma non se ne occupò subito, aveva fatto un gran baccano cadendo e stette circa un minuto in assoluto silenzio per sentire se c’era qualcuno in casa o qualcuno che si fosse accorto della sua presenza, poi si alzò e fece per raccogliere il foglio e rimetterlo al suo posto, quando si accorse che questo era già sulla scrivania, come l’aveva trovato. Ad un tratto un gemito lo fece sobbalzare: sentì il cuore in gola, e il mal di testa amplificava ogni minimo rumore. Sudava freddo dallo spavento, ma poi si accorse che era solo la gatta bianca di Michael. Andò in cucina per cercare un coltello. Mentre percorreva il corridoio cominciò ad avvertire sapore di sangue in bocca. I suoi passi, se pur delicati e silenziati ulteriormente dalla moquette gli sembravano delle picconate in testa. Arrivò in cucina ed aprì il cassetto delle posate: cominciò a selezionare i coltelli. Mentre cercava una lama abbastanza tagliente, prese in mano un coltello da burro, non ci fece molto caso, osservò tutta la gamma di coltelli presenti nel cassetto e ne scelse uno piuttosto grande, da arrosto, che si prestava ad essere usato come arma, poggiò il coltello che aveva in mano per prendere quello scelto quando notò con grande stupore e in parte terrore che il coltello che aveva in mano pochi istanti prima non era da burro, era bensì una lama lunga più di una trentina di centimetri, affilatissima. Osservò il coltello appena appoggiato ‘eppure mi sembrava fosse un coltello da burro!’ pensò. Riprese in mano il coltello e tornò nel corridoio, diretto verso l’entrata. Si appoggiò al muro, dietro gli appendiabiti vicino alla porta d’ingresso col coltello stretto in mano. Stette diverse ore immobile ad attendere pazientemente l’arrivo della sua vittima. La vista ogni tanto si appannava ma poi ritornava.
Dopo un tempo indefinibile, sentì la chiave infilarsi nella serratura. La chiave girava, Jason udì solo il rumore della serratura, per un tempo interminabile che gli parse molto più lungo dell’attesa precedente. La serratura scattò. Il sapore di sangue aumentava nella bocca di Jason, il quale cominciò ad avvertire terribili dolori ovunque ma soprattutto alla schiena. Nonostante tutto però teneva saldamente il coltello in mano. La porta lentamente si aprì. Jason faceva fatica a reggersi in piedi, le immagini nella sua mente scorrevano a rallentatore. Vide un piede di Michael entrare nella stanza. Jason alzò la mano che impugnava il coltello e tirò un urlo lacerante, proprio mentre la porta si stava chiudendo, il coltello piombò sulla spalla di Michael penetrando in profondità. Era sorpreso, ma non sembrò scomporsi fino a che non cominciò ad avvertire un terribile dolore e la fredda lama che veniva estratta per poi essere riaffondata nell’addome. Michael sputò sangue e si accasciò a terra. I dolori di Jason aumentarono e tutto cominciò ad ondeggiare, poi a girare, la vista si appannò e la luce si affievolì, appoggiò una mano al muro, ma questa lo trapassò. Niente sembrava avere una consistenza e lui cadde su pavimento di schiena. Gli faceva molto male. La luce continuava ad affievolirsi e la moquette si stava trasformando in asfalto, duro e caldo.

Chiuse gli occhi ma percepiva una luce lampeggiante e una macchina che si fermava proprio vicino a lui. Per un attimo aprì gli occhi e girò la testa, era in strada, steso a terra, c’era molta gente intorno a lui che veniva tenuta a distanza dalla polizia mentre un’ambulanza arrivava. Richiuse gli occhi dopo pochissimi secondi. Sentì delle voci “Ma cosa gli è successo?” diceva una. “E’ caduto giù dal terzo piano del palazzo. Poveretto.” Rispose un’altra. Gli sembrava la voce di Michael. Aprì gli occhi per un istante ma le figure erano troppo confuse, gli sembrò di riconoscere una sagoma nera col cappello e un sigaro in mano. Un brivido di terrore gli percorse la schiena, non riusciva a capire bene, con un filo di voce disse “M-m-mich… t-t-tu ssei morto!” una lunga pausa “Ch-ch-che ci fai…” non riuscì a finire la frase. Le voci e i rumori intorno a lui si facevano più confusi e più deboli, poi più niente.


FINE

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