Capitolo 3





Ovviamente non fu affatto facile raggiungere il parco: dopo circa quaranta minuti di interminabile camminata con Giampi che non faceva altro che lamentarsi, scorgemmo in lontananza le fronde degli alberi della nostra destinazione. Come se non bastasse la serie di disgrazie che ci avevano colpiti, ci fermò un tale dall’aria vagamente straniera che ci chiese un’informazione con una cadenza nelle parole tremendamente strana.
Aprii la bocca per rispondere, ma le parole mi morirono in gola, dato che Giampi aveva già iniziato a parlare a raffica e quindi lo interruppi: “maaa…”.
“Taci essere inferiore! Tu sei lo stupido, io quello intelligente! Ti ricordo che per colpa tua ci siamo persi!”. Lasciai correre, Giampi è fatto così.
Finalmente entrammo nel parco e mi sedetti su una panchina. Ero assorto nel sistemare le mie carte quando mi accorsi che Gianpietro non si era seduto ma al contrario se ne stava impalato di fronte a me, fissandomi e indicando la panchina:
“E’ tutta bagnata! Asciugala subito!” non asciugai e il sottofondo dei suoi lamenti non mi diede alcun fastidio mentre mescolavo le mie carte. Si sedette rassegnato e nel frattempo estrassi dallo zaino il mio speciale tavolino pieghevole. Cominciammo a giocare, eravamo concentratissimi, finché una pigna tutta sporca di resina cadde sulle carte. La faccia di Gianpietro diventò rosso e con tutta la rabbia che aveva in corpo afferrò la pigna e la scagliò in aria poi, accortosi che era ricoperta di resina, si pulì violentemente le mani sul mio zaino, borbottai.
Nel frattempo, la pigna, aveva colpito la testa del guardiano del parco, che infuriato si mise a correre verso di noi sbraitando, che spaventati iniziammo a raccogliere frettolosamente le carte da gioco e scappammo. Durante la fuga a Giampi cadde una carta in una pozzanghera, si fermo davanti ad essa, la fissò, cadde in ginocchio e dopo attimi di silenzio prese a singhiozzare. Lo presi per un braccio, cercando di smuoverlo da là.
Eravamo fuori pericolo: avevamo seminato il guardiano, quindi mi rilassai e guardai l’ora: mancavano ancora tre quarti d’ora alla riapertura del negozio. Ci avviammo verso la nostra vera meta, arrivammo là che mancava ancora mezz’ora.
Sbavammo sulla vetrina finchè, da lontano scorgemmo una figura che si avvicinava con passo buffo: basso, ciccione, occhiali, barba incolta, pantaloni corti, maglia di Star Wars, cinque pacchetti extra-large di caramelle gommose in una mano e computer potatile dall’altra, era lui! L’avevo visto nel sito web del negozio e la foto corrispondeva alla realtà.
“È lui!” esclamammo in coro e gli corremmo incontro a braccia aperte. Il proprietario del negozio, spaventato, si mise a proteggere le caramelle. Noi iniziammo a saltellargli attorno, incitandolo a sbrigarsi ad aprire il negozio.
Finalmente entrammo e ci fiondammo sullo scaffale dei videogiochi; nel frattempo il proprietario accese i computer con i quali si potevano provare i giochi. Dopo aver contemplato in silenzio religioso tutti i videogiochi esposti, ci appiccicammo ai PC: io provai un gioco giapponese di guerra mentre Giampi l’ultimo uscito dei pokemon.“Mi piacerebbe farmi un intervento di chirurgia plastica per farmi gli occhi a mandorla, come un vero allenatore di pokemon!” mi disse senza staccare gli occhi dallo schermo, le sue mani battevano freneticamente sulla tastiera.
“Si ,anch’io” risposi.
“Taci maledetto! Mi stavi facendo perdere!” sbraitò.
Non risposi, ero un po’ irritato: il suo comportamento, nonostante ci fossi
abituato, cominciava a darmi sui nervi.
“Ehi! Ci inventiamo dei soprannomi? Se tu fossi un allenatore di pokemon come ti piacerebbe essere chiamato?” mi chiese.
“Giuse the king!”
“Che schifo di nome! Io invece Jackpeter the best!” rispose fieramente.
“Ehi ragazzi, che ne dite se facciamo una partita in rete con i pokemon!” ci interruppe il proprietario che aveva già preparato il suo portatile e aperto un pacchetto di caramelle.
“Preparatevi a perdere!” rispose Giampi sogghignando.
“Ride bene che ride ultimo!” rispondemmo in coro.
La sfida cominciò.
“Questa si che è vita!” dissi ad un certo punto.
“Già!” mi risposero gli altri due.
Il tempo passava senza che ce ne accorgessimo, quando ad un certo punto entrò in tipo piuttosto strano: indossava un cappotto lungo, un paio di occhiali da sole, un cappello e teneva le mani in tasca.
Io e Giampi lo guardammo e il commesso mise in pausa il gioco. “Desidera signore?”
Il tipo estrasse una pistola dalla tasca e disse: “L’incasso, e alla svelta!”

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